Oggi ho tirato fuori undici vaschette, tante quanti i bambini presenti e le ho riempite d'acqua, sapone, e ho preso un po' di giocattoli da lavare. Era l'unica zona in ombra, sempre a 30°, eh. In quell'oretta ci siamo divertiti, con la sensazione di fresco che saliva dalle mani. Poi ho messo effetto nebulizzatore alla doccetta del tubo, facendogli vivere l'idea di pioggia su quel mattonato bollente. Ho usato il tubo che abbiamo utilizzato per l'orto. Un orto venuto così è così, e che ben rappresenta il mio anno scolastico. Oggi ho fatto per un'ora il mio mestiere, che non è ostacolare colleghi, e nemmeno tramare-organizzare-decidere senza coinvolgere. Ah, neppure parlare male tutto il turno di tutti, tutte, l'infinito mondo degli altri. Per un'ora oggi ho fatto il mio mestiere per dimostrare al me apocalittico che c'è ancora un me disponibile a rischiare, a crederci. Ma è difficile, quest'anno è difficile. Vorrei non lavorare più. Vorrei cambiare tutto. Vorrei… ecco, un attimo e questo blog diventa il diario di un sedicenne. Quando divento fragile torno sempre lì. Per questo l'anno scorso, quando mio fratello mi ha accusato di essere andato via di casa (nel senso di fottermene) a sedici anni, per poco non lo sbranavo via telefono. A quell'età sono rimasto tappato in casa per più di un mese dopo la malattia di mia madre, palesata da medici, deliri, silenzi. Lui non c'era, perché militare, e ha rimosso pure il ragazzo che ero, in prima linea, soldato della famiglia. Tutti i giorni casa-clinica-casa. Ero stremato di emozioni, di informazioni nuove sullo stato sociale della mia famiglia. Ero spaventato, ma avevo una carica energetica tale da fermare pure le onde del mare di fronte casa.
Oggi, dopo un anno asfissiante in cui ho subito la personalità di una collega, “gemella” nelle pratiche come mio fratello, oggi, sento l'incapacità definitiva di vivere normalmente.
Mi sono preso un paio di ore di permesso, sono andato dalla pescivendola, e ho preso un preparato per spaghetti allo scoglio, e un mini prosecco. Vado a casa, preparo, sveglio Jacopo. Pranziamo assieme. Prendo il mini prosecco, e dico: festeggiamo la tua promozione con otto in italiano. Lui, sornione dopo la serataccia della nazionale contro la Spagna, mi fa: me so appena svegliato… Guardo la bottiglietta di ribolla, gli spaghettoni nel piatto, e capisco di aver creato un'aspettativa tutta mia, senza coinvolgerlo, anzi, invadendo il suo spazio sornione.
Adesso sono nella via dove ho buttato il sangue per tre anni. Era una casa famiglia, adesso un cantiere. Ho sbirciato per cercare emozioni, ricordi. Niente. Non c'era più nulla, cara amica di serate post turno, sul balcone a bere latte, sbirciare i vicini altolocati. Sto per entrare da una junghiana… Ne sono uscito e mi avvio verso villa celimontana, tra donne scollate in metro, musica fresca alle cuffiette, penso alla fortuna di esserci ancora nonostante Roma che pulsa sulla schiena.
Entro e una cover band di ragazzini mi accoglie con Mi fa stare bene, di Caparezza.
Prendo uno chardonnay e brindo con te, caro lettore arrivato con me fino al tramonto di questa giornata.
I ficus non hanno resina, gli oleandri allontanano coi loro fiori il veleno, i pini alti sono discreti, e le donne in attesa di Pif coi loro tacchi eleganti, due bambini in cerca di attenzioni, e io, nel mezzo lascio cadere la stanchezza e accolgo favorevole il fresco della serata che sta arrivando.
Sai raccontare le emozioni, sai dire le cose della vita con fluidità e immediatezza, la tua scrittura e intensa, coinvolgente, concreta. Straordinaria capacità di avvicinare chi legge nella realtà di cui parli rendendolo parte viva.