Luigi, il finale
Tutta la Storia che ho raccontato è vera, tranne il finale, e tranne che Vincenzo sia il mio vero bisnonno. Volevo un finale a effetto nel secondo atto, e ce l’ho messo, alla fine. Perché così sareste usciti dal racconto con un groppo sentimentale addosso, perlomeno è quello che desideravo. Di solito noi che raccontiamo facciamo così: ricattiamo, donando emozioni. Un'altra cosa praticata è rubare le storie. Nel mio caso, per questa storia che vi ho raccontato, devo tutto a una persona che sta tra di noi stasera. Uno scrittore, un uomo, che attraversa i suoi giorni, le sue sventure, con un allegro coraggio contagioso. In questi anni che non ci siamo frequentati, per un equivoco, una parola di troppo, ho scritto pensando di essere lui. Ho incarnato il suo stile e come lui ho asciugato le frasi che srotolavo dalla mente, avendo rispetto per i personaggi, per i fatti accaduti, ma, soprattutto, mi sono lasciato andare beatamente appresso al flusso del racconto. Come faceva lui.
Lui è con noi stasera, sta ascoltando, e me lo immagino sprofondare lentamente d’imbarazzo nella comoda poltrona che gli ho riservato. Caro amico, ti ho invitato per un debito artistico che avevo con te. Dal giorno in cui ci siamo conosciuti, fiutati, ho preso la tua essenza, e ho provato e riprovato a imitare il tuo sguardo verso le cose. Dalla prima volta in quel seminterrato pieno di scatoloni dove Antonio quasi ci sussurrava: ragazzi, niente trucchi da quattro soldi, come dice il nostro amato Ray. E noi lì a bocca aperta, ignoranti, spugne sensibili, ragazzi vestiti male, giovani uomini con voci spezzate da una realtà che non ci dava soddisfazione: non ci restava che arrenderci all'arte del racconto. Non avevamo altro da fare in quel tempo. Così, una volta fuori da quella prima lezione, nella viuzza romana piena di negozi chiusi, ci siamo guardati, abbiamo parlato contenti, abbiamo bevuto al nasone e, almeno io, mi sono sentito la persona più a posto della terra: per il resto dei miei giorni voglio soprattutto scrivere, mi ripetevo nella testa quasi saltellando verso la via di casa. Da quella viuzza in poi, da quel sentimento tondo e bello in poi, tu hai fatto parte della mia vita, dei miei pensieri. Tu eri più bravo di me a raccontare. Avevi l'incipit sempre pronto, e le volte che abbiamo scritto nel seminterrato, in cerchio, quando si cominciava a scrivere dopo le indicazioni di Antonio, tu scrivevi meglio di tutti con quei fulminati incipit. Però non riuscivi ad andare oltre a quei maledetti incipit. E ti disperavi, farfugliavi, inciampavi, ti accusavi, ammettendo che non ce la facevi a causa di una tara famigliare. Quando eri meno disperato ci ridevi su, e dicevi: la forza divina dell'incipit mi fulmina e costringe a scriverli. Per poi condannarmi alla successiva pagina bianca, per sempre. Così immaginavi la pazza possibilità di scrivere prima o poi una raccolta di soli incipit. Sarei unico, no? aggiungevi con quel tuo sorriso dolcissimo, pieno di terrore, che lasciavi sfumare mentre tornavi ad ascoltare me, noi, con una dedizione che ho sempre ammirato. Ci mostravi il tuo dramma, e un secondo dopo ascoltavi le nostre scemenze, e ridevi, sorridevi, fissandoci, con quei tuoi occhi curiosi. Ti adoravo e temevo, in quei vicoli poco illuminati, in quegli angoli dove si restava a parlare notti intere.
Eccoci in questa notte, amico mio, in questo teatro dove ho mescolato le nostre vite e quelle dei nostri avi, e dove ufficialmente ammetto, dichiaro, confesso: questa storia appena raccontata è la tua, stasera sono stato il tuo attore, la tua voce che ha osato andare oltre l'incipit. Sfidando la storia, sfiorando il gorgo, rimanendo immortali per un attimo lungo un intero atto.
Ti è piaciuto lo spettacolo?
Perdonami le parole di troppo, ma stasera c'era da asciugare prima le lacrime.
Amico mio, sulla locandina da domani ci sarà il tuo nome accanto al mio. Te lo devo.
Tuo
Luigi
Aspetta, devo dire un'altra cosa ancora. Caro Giovanni, sotterriamo l’ascia del rancore in questo teatro, e cerchiamo di volerci bene per il tempo che ci rimane.