Una coppia di amici in partenza per la Sardegna ci lascia a Civitavecchia nord, in piena mattina di agosto. Ciao, ciao. Elisa e io ci mettiamo subito a cercare un passaggio al casello.
Che vai verso l’Argentario?
Sì, salite.
Ah, grazie!
Il tipo che guida l'auto è silenzioso come una notte d'inverno, per fortuna in un'oretta arriviamo a Talamone, impariamo cose su Garibaldi e i mille, poi ci mettiamo a cercare un campeggio. Prezzi esagerati, scappiamo nell'entroterra. Sempre con l'autostop, arriviamo a Montiano in un agricampeggio. Poche tende, tanti tavoli al ristorante, ci piace. Conosciamo una coppia di Torino. Hanno la macchina, ci propongono di andare con loro alle terme di Saturnia. Chiacchierata di conoscenza lungo il tragitto. Torino è a misura d’uomo, ma Roma è Roma, cose così. Arriviamo, ci immergiamo nelle acque tiepide. Io e la torinese raggiungiamo le vasche superiori, lei è in topless, con due capezzoli turgidi a mo’ di mitragliatrice. Siamo circondati da un gruppo di militari in libera uscita. Le acque torbide nascondono le avanzate sensuali della truppa, lei sorride (ammicca?) io non so cosa fare. Rimango solo di fronte a lei, con le braccia al rovescio per tenermi alla roccia, nel mentre, un veccietto scivola dall'alto, strappato dalla corrente: aiutooooo. Con gli occhi corriamo dietro al vecchietto che pare stia all’acquapark. Approfitto dell’agitazione in acqua, così mi tolgo dall'imbarazzo di non sapere cosa fare in quel campo di battaglia. Scendo verso la vasca di sotto, mi avvicino a Elisa e al fidanzato della cicciolina piemontese. Stanno ridendo di gusto, entro anch'io nella risata, e ridiamo ancora più forte. Usciamo dall’acqua. Una volta in macchina decidiamo di fermarci lungo la strada a una festa dell'Unità. C’è pure il sugo col cinghiale, fa lui, e aggiunge: ‘sti comunisti sanno proprio mangiare. Ci sediamo, mangiamo, ridiamo, parliamo di noi come coppie. Loro con almeno dieci anni più di noi, tirano fuori logoramenti urbani, noi, freschi di paese appena arrivati a Roma, esaltiamo ogni dettaglio raccontato come momento vergine da godere. Mentre rientriamo, dopo che lui ha immerso lungo la strada il cranio pelato in un abbeveratoio di acqua ghiacciata, lei comincia ad accusarlo, a ridicolizzarlo davanti ai nostri sguardi frenati. Alla fine litigano di brutto, noi muti speriamo passi il temporale. Fuori tanta campagna toscana selvaggia, dentro l’abitacolo nevrosi sabaude che sbattono contro la nostra gioia di vivere un ferragosto spensierato. Una volta all’agricampeggio ci diamo la buonanotte. Noi facciamo l’amore, mentre loro continuano a litigare. Esco fuori, ritrovo cranio pelato che borbotta davanti una bottiglia di grappa. Parliamo, anzi, è lui a farmi il monologo sulla fine della loro relazione, tutto intorno c'è questa terra maremmana allagata dal suo pianto ubriaco. È stanco, rientra in tenda. Lo saluto, non mi risponde per troppa melodrammaticità addosso. Fanno l'amore, chiassoso, noi di là ridiamo sdraiati in tenda già con l’idea di raccontarlo agli amici, una volta tornati a Roma.
All’alba sentiamo mille fiati intorno alla tenda. Ci sediamo sul materassino, confusi. Elisa si fa coraggio e fa capolino sul triangolo di ingresso della tenda. Comincia a ridere, a fare versi. La raggiungo e vedo decine e decine di cuccioli di carlino che scalpitano per arrivare a slinguazzarle la faccia. Sbuca il proprietario del campeggio scusandosi dell'invasione. Ci racconta che hanno un allevamento, e che i cuccioletti chissà come erano riusciti ad aprire il cancelletto. Facciamo colazione, la coppia è mogia mogia, neanche alzano lo sguardo: divorano il ciambellone, sorseggiando il caffè, silenziosi. Ci salutiamo all’uscita del campeggio, noi ci voltiamo verso nord, e ricominciamo con l’autostop. Si ferma un ragazzo con una uno bianca.
Dove andate?
Verso Pitigliano.
Ah, montate allora.
Saliamo, subito si parla a raffica, lui è campano trapiantato in Maremma insieme alla famiglia di origine. Ci propone una gita al mare. È ferragosto, io sto da solo, che dite? Accettiamo, saremmo tornati a Roma dopo il pranzo, quindi, all'unisono pensiamo : dall'Aurelia è più facile poi fare autostop. Lui ci sorride con un okei largo quanto il manubrio, poi ci fa: devo passare prima dai miei a prendere la biancheria pulita. Rallenta, sterza, ci ritroviamo nel buio di un bosco, dove sbuca un casale in pietra tra le querce. Due donne in nero lo accolgono, un uomo panciuto è seduto sotto la pergola. Due cani scodinzolando, una gallina becca solitaria. Salutiamo senza neanche scendere dalla macchina, ripartiamo subito. Andiamo in una spiaggetta, facciamo il pranzo di ferragosto in un chiosco vista Isola del Giglio. Poi qualche tuffo, passeggiate, dormite, una tipica e serena giornata di mare. Decidiamo di andare a visitare la riserva naturale. Ci passiamo l'intero pomeriggio in compagnia di un gruppo di visitatori: oggi c'è la visita guidata. Ripartiamo. In auto ci racconta di sé, della passione per i cavalli, e il suo lavoro in un autosalone sull’Aurelia, è tutto infervorato, poi di colpo spara un: fermatevi a dormire da me! Ci aveva appena indicato col dito la villa di Raffaella Carrà. Perché no, diciamo insieme guardandoci negli occhi, contenti della meraviglia per le sorprese che la vita ci offre. Penetriamo il parco dell’uccellina, fa buio, incrociamo subito un istrice, poi un cinghiale, e ancora ricci minuscoli, un camoscio, forse un cervo, pastori maremmani, una volpe. Lui parla, parla fitto come gli alberi, e ascolta i nostri racconti, ride, ci fa domande, ma dopo una curva a gomito blocca all'improvviso le sue parole, lascia che il silenzio ci costringa a far parlare noi, poi, una volta sul rettilineo, ritorna rispondendo alle nostre domande rompi silenzio. Arriviamo al concessionario renault. Ci indica il suo alloggio. Si intravede una testa di cavallo nera. Ci avviciniamo, saluta il cavallo, mentre l’animale posa l'enorme testa sulla rete di recinzione. Il cavallo vive entro una staccionata, attiguo all'alloggio. Entriamo. Davide, il nostro Cicerone cavallaro maremmano, ci dice che dormirà nel salone, lo dice appena ci rendiamo conto di quanto sia piccola la casa: tanto ho il divano letto da inaugurare, ci rassicura. Ceniamo uno spaghetto con ragù campano, che aveva recuperato insieme ai panni a casa dei suoi. Beviamo vino rosso, ridiamo, raccontiamo le nostre vite, e il clima pare dei migliori. Dopo una breve pausa, lui smorza il silenzio cominciando a parlare della sua ex ragazza. Ripete, poiché lo aveva accennato, ridendoci su, all’inizio della nostra conoscenza, sul fatto che questa sua ex somigli molto a Elisa. Aggiunge, dopo una sorsata maldestra che gli fa rivolare il rosso dalla bocca: peccato per come è morta. Ah, è morta?...sì, tre anni fa. Nel bosco, dove ho rallentato, subito dopo che abbiamo visto il cinghiale, proprio a quell'altezza l’hanno ritrovata dopo tre giorni di ricerca: povera-la-mia-Claudia. Resta a fissarmi gli occhi, e aggiunge: e ancora nessun colpevole. Si alza, prende il pecorino in frigorifero, ne taglia quattro fette, ce lo porge, lui se ne mangia due, poi tracanna un altro bicchiere con una sorsata netta. Elisa accenna domande su questa ragazza, lui risponde monosillabe per un po’, poi la diga si alza, la foresta si allaga e nei ricordi su di lei tira fuori litigi, tradimenti, piccole questioni sentimentali che stanotte in questa casa paiono indizi, moventi malinconici, terribili da sostenere, perfino ascoltare. Elisa, indebolita dalle sue risposte terse, senza tentennamenti, va a dormire, ma non dopo un altro bicchiere di rosso tosto toscano. Rimango con lui come argine a future tragedie. Lui continua tratteggiando questa ragazza morta ora come martire, poi come una sprovveduta. Mi fa vedere la foto. Svengo in piedi di paura: è praticamente Elisa. Spero si sia chiusa a chiave nel frattempo, e che il cavallo la lasci attraversare il piazzale, se dovesse ritrovarsi a scappare con me già agonizzante sul divano nuovo di zecca. Insiste, facendomi leggere i trafiletti dei giornali sull’omicidio, e la foto della povera ragazza ripetuta decine di volte ai miei occhi, mi direziona come un tic a guardare la porta oltre cui dorme Elisa: chissà, magari lei intanto, un po’ brilla di paura sta provando a scappare nel sonno. E questi nostri discorsi riescono ad attraversare la fessura sotto la soglia? Spero ancora che abbia chiuso la porta a chiave. Ora sta a me corazzare la sua vita, adesso mi tocca tirare su pensieri come bastioni. Intanto, nel salone vista concessionario chiuso, tiro fuori, cercando di rassicurarlo, frasi consolatorie, dimenticando che certo dolore prende comunque certe vie nel sangue sconosciute, imprevedibili. Versa altro vino, lo seguo in questa discesa allegra, gli tengo botta a parità di sangue alcolico. Si alza dal tavolo, mi invita a seguirlo fuori. Dove c’è un venticello ruffiano, e il cavallo ci saluta, lui lo accarezza, gli dice qualcosa fissandolo in un occhio. Sto a distanza, perché ho paura dei cavalli.
Rientriamo, il frigorifero fa un rumore come di frenata, salta la corrente. Gli chiedo come mai. Dice che succede spesso, va ad avviare il generatore. La porta rimane aperta, lo intravedo, con la luce giallognola del distributore, mentre piegato sulle gambe maneggia qualcosa. Ritorna verso l'alloggio, con la luce bassa del vialetto lo vedo sempre più nitido con qualcosa di colorato in una mano. Entra, con un mazzolino di fiori. Ah… belli, ma dove li hai presi? Sono quelli che metto sotto l’albero che tanto piaceva a Claudia: quel ciliegio lì. Portali a Elisa, mi fa. E me li porge. Abbassa la testa, si piega, respira affaticato, ma forse è una mia impressione. Con un movimento deciso apre il divano, il lenzuolo c'è già, è rosso scuro, quasi amaranto. Ci si tuffa su e comincia a ridere sguaiato mentre continua a guardarmi. Sei bello con quel mazzo di fiori, proprio un figlio dei fiori. E ride, irrorando la casa con quel suono nervoso, e che forse va a inquinare l’intera maremma. Rido anch’io, brevemente, poi provo a calmarmi con un altro bicchiere. Lo osservo con le gambe a mo’ di bambino al centro del materasso, è rimasto vestito, vedo il momento esatto in cui chiude gli occhi. Aspetto che dorma davvero. Faccio il test della frase scema, sussurro: forza Roma. Poi vado a infilarmi nel letto da Elisa, non prima di aver chiuso a chiave la porta. È sveglia, elettrizzata, parlottiamo, poi facciamo l’amore per l’ultima volta attigui a un cavallo e al suo amico presunto assassino. Ci addormentiamo dimenticandoci di tutto, come sempre quando sbattiamo contro paure più grandi del nostro cuore.
Ci svegliamo storditi ma freschi, alla finestra un albicocco copre ma apre lo stesso verso un cielo frizzante. Lui sta di spalle a lavare i piatti, si volta, allarga un sorriso che sa di perdono, di imbarazzo. Ci invita a fare colazione al bar della vicina pompa di benzina: c’ha dei cornetti alla crema da oscar! Dice tutto eccitati. Usciamo, pronti a ripartire, facciamo fatica a parlare per lo sfrecciare delle auto e dei camper sull’Aurelia. Ci abbracciamo, e lui ci promette più volte che se gli capita un’occasione di R4 usata ce la porta lui stesso a Roma. Lo vediamo mentre va verso l’autosalone, cammina con le gambe allargate, si ferma davanti al cavallo e gli dà un bacio sul naso, poi prende la direzione dell'ufficio, si volta e poi ci urla: grazie per la compagniaaa. Il labiale è più potente del suono in quel piazzale deserto. Lo salutiamo con le braccia a lancette, imita il nostro saluto, poi sparisce in un ingresso a vetrate. Ci voltiamo e iniziamo a fare l'autostop verso sud. Si ferma una ragazza riccia, in una Renault cinque rossa: vado a Roma, ci fa con un sorriso floreale.
Anche noi.
Salite allora, continua a sorridere mentre sposta una busta sul sedile.
Viaggiamo lenti e lei parla, parla, e racconta che sta andando a ricevere un premio di poesia: sono un’allieva di Maria Luisa Spaziani. Esulto col mio sorriso da mio troppo stupore. Cito qualche scrittore, scrittrice, Sandro Penna, tutto il mio armamentario per sentirmi in quel mondo che vorrei frequentare. È una tipa molto curiosa, ci chiede quello che facciamo, dove abitiamo, da dove proveniamo. Ci sostiene, come coppia prossima a una vita in comune. E dà consigli per il mio imminente primo e nuovo lavoro al centro diurno, dove avevo svolto il tirocinio come educatore. Alla fine mima una benedizione, sono poeta, non si sa mai, aggiunge col capo chino che non nasconde del tutto un sorriso oceanico. Sorride ancora mentre la salutiamo davanti a una piramide assolata, quasi rosa, in un piazzale ostiense alberato e deserto.
Ps
Chiedo cortesemente a chi è arrivato fino in fondo alla lettura di scrivermi un'impressione, una sensazione che il racconto ha trasmesso. È importante per me saperlo, se volete, potete scrivermi anche in privato. Grazie mille.
peppestamegna@gmail.com